Sulle tracce dei Gonzaga a Manfredonia
di Giacomo Telera
Sulle tracce dei Gonzaga a Manfredonia.
Manfredonia, e prima ancora di essa Siponto, è sempre stata, nei secoli, territorio di approdo e di passaggio d’illustri personalità politiche ed ecclesiastiche, e di esponenti di famiglie di nobile lignaggio. Tra questi si possono annoverare quelli appartenuti alla famiglia Gonzaga, signori di Mantova.
Alcuni rami di questa casata, come i Gonzaga di Guastalla, avevano possedimenti in Capitanata (Russo 2012) ma non a Manfredonia, anche se ci sono tracce dei loro matrimoni, come quello avvenuto per procura e rogato dal notaio Teofilo in data 18 settembre 1651, tra Francesco Gonzaga, figlio del principe Andrea, e donna Ippolita Cavaniglia.
L’atto notarile presenta Francesco quale figlio primogenito (mentre per le fonti genealogiche della famiglia Gonzaga non è Francesco, ma Giovanni) del “Principis Sacri Romani Imperij” e utile signore della terra di San Paolo. Questi, non avendo il tempo di assolvere le incombenze legate al matrimonio, nomina suo padre procuratore. La sposa è l’illustrissima signora Ippolita Cavaniglia, figlia dei marchesi di San Marco. Il Principe, come da procura, deve ricevere cinquemila ducati in conto dei ventottomila della dote della Cavaniglia e inoltre gli sono promesse altre somme per l’accrescimento della dote. Copie degli atti del matrimonio si conservano presso il notaio Giovan Carlo Piscopo di Napoli. Nella chiusura dell’atto, oltre al “giudice ai contratti”, figurano Diego de Urruttia, governatore e regio castellano della città di Manfredonia, Giovanni Ximenes de Palacio, suo luogotenente, Carlo del Coral, Gabriele Mollet e Pietro de Naves, spagnoli di stanza nel castello.
Stemma dei
Un’altra traccia tangibile del passaggio dei Gonzaga a Manfredonia è possibile rilevarla nella chiesa dei Padri Predicatori, dove, sopra l’altare di S. Domenico, campeggia un epitaffio che recita:
DIVI // DOMINICI // ARAM // OLIM A FAMILIA // CELENTANO PATRITIA // IVVENACIENSI ERECTUM // NUNC FAM. GONZAGAE EX MANTUA // ET DE FLORIO EX SIPONTO PATR. // CONIVGALI SVCCESSIONE DENOLVTAM // NOBILIVS EXTRVXIT AC DOTAVIT // VNUS EX EADEM FAMILIA // ANNO DOMINI MDCCLXXX.
Sorvolando su alcuni errori presenti nell’iscrizione latina, essa spiega che, un tempo, l’altare di San Domenico, appartenente alla famiglia Celentano di Giovinazzo, passò per successione alle famiglie Gonzaga – De Florio, le quali lo ornarono e dotarono.
La storia di questo altare ha inizio il 21 aprile 1729 quando i frati domenicani di Manfredonia cedono a Michelangelo Celentano, patrizio sipontino e di Giovinazzo, la cappella del Patriarca S. Domenico con annessa sepoltura. Il Celentano, pertanto, si impegna a far erigere l’altare di marmo e promette una dote di 50 ducati per suppellettili. Si disobbliga, alfine, con la cessione di un sottano. Il tutto si compie nell’arco di alcuni anni, secondo l’atto rogato dal notaio Michele Tommaso Gonzales, in data 7 luglio 1734.
Alcuni esponenti della famiglia Celentano sono presenti a Manfredonia già dalla seconda metà del XVII secolo, dove ricoprono anche incarichi di governo (Ognissanti 2001).
Michelangelo Celentano, proprietario dell’altare su riferito, nasce il 13 luglio 1690 da Nicola, originario di San Severino, e Isabella de Florio. L’11 gennaio 1732 sposa Margherita De Stefano di Benevento, figlia di Berardino (dei Duchi di Gildone, Signori della Ripa Limosani) e cognata di Pietro Capitaneo (barone di S. Demetrio e patrizio delle città di Novara e Modugno).
La coppia avrà 3 figlie:
la primogenita: Colomba, Candida, Veronica, Isabella, Saveria; nata il 3 marzo 1733 e battezzata il giorno dopo dal minore conventuale Francesco Antonio Boccoli;
la seconda figlia: Rosa, Anna, Teresa, Maria; nata il 5 marzo 1735, battezzata dal monaco celestino Bernardo Celentano, tenuta alla fonte dal suo padrino e zio Saverio Celentano;
la terza figlia: Giovanna, Saveria, Domenica, Vincenza, Gaetana, Nicola, Michaela; nata il 5 maggio 1739.
Colomba entrerà nel monastero di S. Chiara, diventando suor Maria Redenta. Morirà il primo dicembre 1763, venendo sepolta in quel cenobio.
Ma cosa ci fa un Gonzaga nuovamente a Manfredonia? Che rapporti ci sono tra loro, i Celentano e i De Florio?
Per comprende al meglio le dinamiche che hanno portato alla redazione di quell’epitaffio posto sull’altare ubicato all’interno della chiesa di S. Domenico, è necessario un approfondimento sui legami di parentela e sul patrimonio della famiglia di Michelangelo Celentano. Questi ha due fratelli, Francesco Saverio e Giovanni Lorenzo. Il primo, che ha abitato in una casa palazzata sita nella strada S. Matteo, fa il suo ultimo testamento in data 29 dicembre 1735 (notaio Gonzales M.T.), nel quale ordina di essere sepolto nella Chiesa di S. Maria delle Grazie nella tomba di famiglia (attualmente esistente) e nomina suo erede il fratello Michelangelo, il quale dovrà occuparsi di alcuni movimenti finanziari del fratello e potrà riscuotere a proprio beneficio alcuni crediti, in quanto bisognoso e povero per poter mantenere la sua casa e la sua famiglia. Il testatore, inoltre, lascia alla signora Margherita De Stefano, oltre a vari oggetti per la casa, un cavallo e il calesse. Eppure il “povero” Michelangelo sta erigendo un nuovo palazzo di sua proprietà, nel luogo in cui vi era la Tribuna (notaio Gonzales M.T., del 22 maggio 1733).
Michelangelo muore il 23 aprile 1753, all’età di 63 anni. Viene sepolto proprio nella tomba “de Iure Patronatus” di famiglia, sita nella chiesa di S. Domenico, di cui sopra. Alla sua morte, Margherita De Stefano convola a seconde nozze (13 gennaio 1754) con Francesco Saverio De Florio, con il quale vi è una consanguineità di secondo grado. Francesco Saverio morirà il 17 aprile 1766, all’età di 61 anni, venendo sepolto nella tomba di famiglia presso la Chiesa di Santa Maria delle Grazie.
Il 2 agosto 1754, con atto del notaio Prencipe Domenico Teodoro, si assiste alla divisione dei beni ereditari di Michelangelo tra i coniugi Francesco Saverio de Florio – Margherita de Stefano e le sorelle Rosa e Giovanna Celentano. Il documento menziona come, nell’ultimo testamento di Michelangelo Celentano (12 aprile 1753), siano stati istituiti tutori e curatori delle due figlie la moglie Margherita, e il sig. Francesco Saverio, il quale rinuncia a tale impegno dopo pochi mesi. Al suo posto viene nominato Tommaso Celentano, cugino di Rosa. Il De Florio e Margherita De Stefano, dopo il loro matrimonio, decidono di far maritare Rosa Celentano, figlia di Margherita, con Giacomo De Florio, figlio di Francesco Saverio. Questo fatto dà motivo al tutore, Tommaso Celentano, di fare ricorso chiedendo l’impedimento del matrimonio, poiché c’è il rischio che Giovanna, sorella di Rosa, possa essere penalizzata nella sua porzione di eredità. Pertanto il 18 gennaio 1754 viene stipulato un accordo tra le parti per la tutela di Giovanna. Nel documento viene dichiarato che tutti i beni ereditari del defunto Michelangelo ammontano alla somma di ducati 14.017, ma solo 11.274 dovranno essere divisi tra le due sorelle, per una somma di 5.637 ducati ciascuna. Inoltre, a Giovanna, nella porzione spettante, rientra la concessione dell’ufficio del mastro dei sali nel regio fondaco, del valore di 700 ducati. Rosa, invece, godrà, per la sua porzione, l’intero palazzo paterno, sito davanti l’atrio del convento di S. Francesco de’ Minori Conventuali (valore 4000 ducati) e tutti i beni mobili e corredali del palazzo.
Come da accordi, il 20 ottobre 1754, Rosa sposa Giacomo de Florio, figlio di Francesco Saverio de Florio e Lucrezia Chiurlia. La Celentano muore il 17 febbraio 1799, venendo sepolta nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie. Qualche mese dopo (10 luglio), seguirà la medesima sorte il marito Giacomo, che però verrà sepolto nel Campo Santo “in forma pauperum”.
Ecco spiegata, quindi, la parentela tra i Celentano e i De Florio.
Giovanna, altra figlia di Michelangelo, invece, sposa (7 ottobre 1758) il marchese Luigi Maria Gonzaga di Venezia, capitano dei Dragoni nel Reggimento della “Sovrana Signora la Regina Padrona”. Suo padre è Ferdinando Carlo Gonzaga, Principe del Sacro Romano Impero e Grande di Spagna di 1a classe, il quale da Venezia viene esiliato a Napoli (Candida-Gonzaga 1875) . Il loro matrimonio è celebrato dall’arcivescovo sipontino Francesco Rivera nell’abitazione della sposa. Tra i presenti al matrimonio religioso figura Giuseppe Rivera.
Nei capitoli matrimoniali rogati dal notaio Prencipe Domenico (11 gennaio 1759), Giovanna dichiara che ha ereditato dal padre un capitale di ducati 2.700, una cambiale di 408 ducati dovuti da Pietro Capitaneo e poi oro, argento, gioie e pegni valutati 1089 ducati. Inoltre riceve l’ufficio di mastro dei sali nel regio fondaco, dal quale ricava annualmente 72 ducati, e altri crediti, per un totale di 5.637 ducati. A questi si aggiungono altri 563 ducati per un totale di 6200 ducati, che la donna promette di portare in dote. Infine, il Gonzaga dichiara di averne ricevuti 500, i quali saranno restituiti per investirli nella città di Manfredonia per una sua comodità.
Ecco tutte le tracce lasciate dai Gonzaga a Manfredonia.
Da queste vicende ricaviamo notizie utili in merito ai legami familiari che furono instaurati per accrescere il potere politico e patrimoniale delle stesse famiglie, e per accrescerne il rango nobiliare.
*Si ringrazia don Matteo Tavano, rettore della chiesa S. Domenico, per la sua cordiale disponibilità.
Giacomo Telera
Bibliografia:
Candida-Gonzaga 1875 = Bernardo Candida-Gonzaga, Memorie delle famiglie nobili delle provincie meridionali d’Italia, Napoli 1875.
Ognissanti 2001 = Pasquale Ognissanti et. al., L’Università sipontina del ‘600, Manfredonia 2001.
Russo 2012 = Saverio Russo, I Gonzaga di Gastalla feudatari in Capitanata in Territori, poteri, rappresentazioni nell’Italia di età moderna. Studi in onore di Angelo Massafra, (a cura di) B.Salvemini, A. Spagnoletti, Bari 2012.