a cura di Francesco Granatiero
Pubblichiamo una nota ricevuta da Francesco Granatiero su un dipinto raffigurante la Basilica di Santa Maria di Siponto
Non molti mesi fa mi sono imbattuto nel sito web della prestigiosa Casa d’Aste “Vincent” di Napoli. Ciò anche per via delle mie ormai annose ricognizioni storico-artistiche sul grande caricaturista sipontino Antonio Manganaro (Manfredonia 1840 – Napoli 1931). Ebbene, nell’osservare con la consueta attenzione le riproduzioni dei numerosi quadri ottocenteschi presenti nei rispettivi cataloghi (digitalizzati) della precitata Casa d’Aste, ho scoperto un dipinto ad olio, di medie dimensioni, davvero molto bello e suggestivo. Opera facente capo all’asta del 16/04/2016. Quadro denominato “venditore di souvenirs”, datato al 1882, di cm 60 x 46,5. Mi riferisco al “lotto 139”, per la precisione. Lotto proveniente da una collezione privata di Napoli. Si tratta di un quadro di finissima fattura, che raffigura il portale della Basilica di Santa Maria Maggiore di Siponto e parte del suo prospetto frontale. Esso è opera del pittore umbro Alceste Campriani (Terni, 1848 – Lucca, 1933). Amico del celebre pittore barlettano Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846 – San Germain – en Laye, 1884). Fu proprio quest’ultimo, stando a quello che è emerso da numerose fonti, a favorire, in un certo qual modo, i suoi progressi artistici e, soprattutto, economici. Fu il De Nittis, difatti, a presentare il Campriani ad Adolphe Goupil (1806 – 1893). Abilissimo Mercante d’arte parigino (Maison Goupil). Dal seguente brano della pagina 407 dell’ “Emporium” rivista mensile illustrata d’arte, letteratura, scienze e varietà” (Istituto italiano di arti grafiche, 1903), in riferimento al Campriani, si evince, difatti, quanto segue:
[…] Per ben quattordici anni egli lavorò esclusivamente per la casa Goupil, producendo circa cento opere, che, tutte, appena compiute, partivano per Parigi, per poi passare spesso in Inghilterra, nel Belgio ed in America. […]
Il famoso pittore pugliese ed il Campriani fecero parte, per un certo periodo, della cosiddetta “Scuola di Resìna”. Detta Scuola aveva, come è noto, lo scopo di dipingere dal vero, con una certa velocità, l’intensa solarità, le particolarità locali (dal punto di vista umano e, specialmente, territoriale-paesaggistico), nonché la monumentalità di tanti scorci del Meridione d’Italia. Pertanto, proprio a queste vedute appartiene il suddetto quadro. In esso il pittore ternano riproduce, con pennellate corpose e sicure, il bellissimo portale della nostra basilica, parte del suo prospetto frontale, nonché cinque non meglio precisati personaggi la cui resa plastica e psicologica è davvero notevole. Essi sono impressionanti per veridicità e precisione. Con altrettanto realismo viene riprodotta inoltre la luce presente, a quella precisa ora, in quello storico luogo. Il primo personaggio effigiato è quello volto a destra ovvero il “venditore di souvenirs”. Soggetto, è proprio il caso di dirlo, alquanto “pittoresco” . L’anziano commerciante indossa abiti logori, seppure di colori abbastanza vivaci, ed un copricapo variopinto. Sta cercando di vendere qualcuno dei suoi tanti souvenirs. Sorregge, soprattutto con il suo collo, il peso di una vecchia cesta stracolma di “ricordini” di vario tipo. Egli si sta rivolgendo ad una coppia (appartenente, quasi certamente, alla media-alta borghesia del tempo), di mezza età, vestita elegantemente. I due sono appena usciti dalla importante chiesa sipontina. Hanno da poco reso omaggio alla sacra icona di Maria Santissima di Siponto (a quel tempo era venerata lì). In secondo piano: una signora ritratta di spalle (anch’essa, accuratamente vestita, si accinge ad omaggiare a sua volta l’anzidetto quadro devozionale) ed, infine, un venditore di tamburelli (di varie dimensioni). Egli è seduto nelle immediate vicinanze della facciata della chiesa. E’ individuabile nella parte inferiore del dipinto (quasi all’estrema sinistra). Indossa abiti umili (quelli di un misero popolano del tempo) ed ha un cappello piumato. Sembra avere lo sguardo rivolto verso chi, in quel momento, lo sta ritraendo. Sempre in secondo piano del sunnominato dipinto appare, poi, l’imponente ingresso della nostra antica basilica. Esso è addobbato in maniera molto particolare (questo elemento potrebbe contribuire, in un certo qual modo, alla ulteriore conoscenza di talune tradizioni ecclesiastico-popolari). L’affresco (appena accennato), nella lunetta del portale, sembra già abbastanza consunto e scolorito dal tempo. Ma, vorrei soffermarmi brevissimamente sul soggetto, che dà il titolo al quadro preso in esame ovvero al “venditore di souvenirs”. Egli è l’unico soggetto di un altro dipinto del Campriani ossia “Il venditore di souvenirsdi Montevergine” (la cui riproduzione è presente sul sito web di Alamy ). Anche in quest’ultimo, come nell’omologo personaggio del quadro riguardante la nostra chiesa, sono riscontrabili, in ossequio alla verità, alcune lievi sproporzioni relative alle mani ed alle braccia. Esse furono dovute, molto probabilmente, alla straordinaria velocità di esecuzione e, dunque, non certo alla mancanza, da parte dell’insigne pittore umbro, di senso delle proporzioni e della prospettiva. Tuttavia, in quest’ultima opera, i colori sono meno vigorosi e la figura (volta a sinistra) è risolta in maniera più veloce ovvero con pennellate meno materiche (quasi slavate). Una scena molto simile all’opera intorno a cui verte questo mio breve scritto è, infine, quella riscontrabile in un altro dipinto (non datato) dello stesso Campriani. Mi riferisco al quadro intitolato “davanti la chiesa” (la cui riproduzione è presente nel sito web www.catawiki.it). Si tratta di un piccolo dipinto (11 x 18,5 cm) su cartoncino. Anche in esso, infatti, sono riprodotti il portale della nostra basilica (pressoché dalla medesima angolazione del dipinto “venditore di souvenirs”) ed alcuni (tre, per la precisione) dei protagonisti del dipinto più grande ovverosia quello datato al 1882. Ciò nonostante, nel succitato piccolo quadro, i colori sono molto meno vivaci e le tre figure sono state eseguite con minore accuratezza. Sembra, pertanto, trattarsi di un bozzetto preparatorio (servito per realizzare, successivamente, il dipinto più grande cioè “venditore di souvenirs”). Voglio concludere questo mio testo ricordando che Alceste Campriani fu un artista prolifico di rango nazionale ed internazionale. Ciò anche se le sue numerose opere subirono fortemente l’influenza della grandiosa pittura dei fratelli Palizzi e di Mariano Fortuny (Revs, 1838 – Roma, 1874). Va detto per di più che l’eccelso artista umbro fu anche insegnante, per alcuni anni, presso l’accademia di Belle Arti di Napoli, nonché direttore (dal 1911 al 1921) dell’Accademia di Belle Arti di Lucca. Città, quest’ultima, che lo nominò cittadino onorario. E, sempre a proposito di Lucca, va detto inoltre che, nel 1950, l’Accademia Lucchese di Scienze Lettere ed Arti, gli dedicò la monografia “Alceste Campriani dopo cento anni dalla nascita” (cm 24 x 17, pp. 119, tavv. In nero f.t., br.). E, a pensarci bene, anche noi dovremmo essere un tantino grati a questo illustre artista, che è riuscito a ritrarre fedelmente e con grandissima maestria uno dei monumenti più importanti della nostra terra. Si tratta, forse, di un dipinto che il Campriani eseguì anche in ragione del suo buon mestiere (il quadro “venditore di souvenirs” gli fu, quasi certamente, commissionato dal mercante A. Goupil), ma quello che conta è che esso (in mostra, a suo tempo, in varie importanti esposizioni d’Italia e non solo) esercita tuttora un grande potere evocativo ed ha, oggi più che mai, un notevole valore storico-documentale. Si tratta, senza alcun dubbio, di un’opera d’arte di rara bellezza. Quadro che ha, di conseguenza, anche un certo valore economico. Questa la “stima”, al 2016, desunta dal catalogo della Casa d’Aste “Vincent” di Napoli: min € 32.000 – max € 48.000. Dunque, una cifra, a onor del vero, abbastanza rilevante. Ciò nondimeno, se le casse di questo nostro Comune non fossero così disastrate sarebbe giusto ed opportuno acquisire (sempre che esso sia ancora in vendita) il magnifico dipinto del noto pittore ternano. La cosa potrebbe altresì interessare la nostra Curia Arcivescovile o qualche cittadino privato, che, oltre a possedere un po’ di soldi, magari ha ancora un certo “amor patrio”. […] Cara patria, già madre e reina / Di possenti magnanimi figli, / Or macerie, deserto, ruina, / Su cui regna silenzio e squallor […]. Sono alcuni versi (di sconvolgente attualità), risalenti al 1846, di Temistocle Solera (Ferrara, 1815 – Milano, 1878). Fanno parte del celebre dramma lirico, in un prologo e tre atti, “Attila” di Giuseppe Verdi(tratto dalla omonima tragedia di Koning der Hunnemdi Zacharias Werner). Ebbene, gli appena citati versi del Solera sembrano attagliarsi quasi alla perfezione a quello che sta vivendo, negli ultimi vent’anni, la nostra Patria, fatta, come è noto, di tante piccole (sin troppo “piccole”) patrie su cui, molto spesso, “regna silenzio e squallor”.
una matita unica
sm