Manfredonia in un suggestivo disegno del famoso pittore belga Frans Vervloet (sec. XIX)

Non molto tempo fa mi sono imbattuto in un alquanto raro disegno datato al 29 gennaio 1838. Esso è presente, in formato digitale, nel “Catalogo generale dei Beni Culturali” qui ed è attualmente custodito presso il “Museo Nazionale San Martino” di Napoli. Si tratta specificatamente di una veduta di Manfredonia dal mare. L’originale (matita su carta; altezza: 15,5 cm; larghezza: 28,7 cm) fu eseguito dal celebre pittore Frans Vervloet (Mechelen, Belgio 1795  – Venezia 1872). Amico di artisti del calibro di Antonio Canova (1757 – 1822) e di Anton Sminck van Pitloo (1790 – 1837).

Vervloet fu autore, tra l’altro, di diari manoscritti (in lingua francese) intitolati “Sa Vie” attualmente conservati presso la Biblioteca  del “Museo Correr” di Venezia. Memorie sulle quali Melania Melazzi, storica dell’arte e giornalista, ha scritto “Sa vie: i diari manoscritti di Franz Vervloet. Il percorso di un petit maitre di vedute ed interni nell’Italia prima dell’Unità: storia di un successo sociale ‘trasversale’ quale tassello per una storia del gusto”. Testopubblicato, nel 2004, sul prestigioso periodico “Studi storici Luigi Simeoni” (volume: 54; pagg.  491 – 517).

A questo punto però bisogna parlare un po’ più strettamente diquel pittore belga, figlio d’arte (suo padre, ossia Frans I, fu direttore dell’Accademia di Belle Arti di Mechelen), che, come si evince da più fonti, si trasferì, in giovane età, nel “Bel Paese”. Soggiornò a Roma, a Napoli (dove, oltre a far parte a pieno titolo della cosiddetta “Scuola di Posillipo”, fu anche professore onorario del Real Istituto di Belle Arti) e, nell’ultimo periodo della sua esistenza, a Venezia, dove morì all’età di 77 anni. Le sue spoglie mortali, difatti, si trovano attualmente nelle cosiddette “Tombe Artistiche” (ubicazione precisa: ingresso cimitero lato portineria) situate nel “Cimitero di San Michele” della “Serenissima”.

Quel raffinato pittore, durante la sua intensa attività artistica, compì numerosi viaggi nella nostra nazione, come testimoniano le sue tante opere (l’elenco, pressoché completo, di esse si può desumere dai diari “Sa vie” del medesimo artista) ritraenti, con rara finezza, scorci di Venezia, Napoli, Palermo, Livorno, Gaeta, nonché di alcune città pugliesi; tra cui Manfredonia.

Quest’ultima fu ritratta, quasi certamente, con l’utilizzo della cosiddetta “camera lucida”. Famoso dispositivo ottico brevettato, nel 1806, dal chimico e fisico William Hyde Wollaston (1766 – 1828). Congegno che Vervloet imparò ad utilizzare nel periodo in cui visse a Roma. In quel luogo la “camera lucida” fu presentata, per la prima volta, nel 1817. Ciò avvenne grazie all’illustre astronomo modenese Giovanni Battista Amici (1786 – 1863). Si deve, difatti, principalmente a lui la maggior diffusione di quell’attrezzo nell’ambiente dei paesaggisti operanti nella “Città Eterna”. Gruppo di artisti, di varia estrazione e nazionalità, a cui apparteneva anche il figlio di un noto marchese torinese, che si rivolse proprio a quello scienziato per ordinare un esemplare di quell’apparecchio da donare successivamente al suo giovane e promettente rampollo.

Ebbene, il talentuoso erede di quel marchese (Cesare Taparelli d’Azeglio) era nientemeno che Massimo Taparelli d’Azeglio (1798 – 1866). Celebre personaggio del cosiddetto “Risorgimento” italiano, che, come è storicamente noto, arrivò persino a ricoprire la carica di “Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno di Sardegna”. Eminente personalità del mondo politico, ma anche abile letterato ed apprezzato “paesista”, che ebbe modo, durante la sua gioventù, di conoscere personalmente Vervloet. Ciò grazie alla comune frequentazione di uno dei più importanti salotti romani del tempo, ovvero quello del delegato olandese Johann Reinhold. Luogo visitato assiduamente anche dal grande pittore fiammingo Martin Verstappen (1773 – 1853) di cui, come è noto, il d’Azeglio fu discepolo.

Ma ritorniamo velocemente alla “camera lucida”. Antico e famoso dispositivo ottico, che proiettava immagini del mondo esterno su tela o su carta. Figure le cui linee venivano poi ricopiate (abbastanza fedelmente) con colori, pennelli oppure con matita.

Dispositivo grazie al quale, di conseguenza, si otteneva un profilo piuttosto fedele del soggetto ritratto, come nel caso del disegno (alquanto essenziale) preso in esame, ovvero quello raffigurante Manfredonia nel lontano 1838.

Ora, tuttavia, è giunto il momento di analizzare, più nel dettaglio, quella interessante illustrazione ottocentesca (stranamente non riscontrabile tra le 72 rappresentazioni grafiche di Vervloet presenti nella sezione “Disegni” del sito web dell’ “Istituto Nazionale per la Grafica”).

In primissimo piano vi è il mare; in lontananza: alcune imbarcazioni di varia stazza, quelle più piccole sono vicinissime alle mura di cinta di Manfredonia oltre le quali si scorgono edifici di vario tipo. Fabbricati piuttosto ammassati; tra essi spiccano due torri campanarie. Sullo sfondo, nella parte superiore di quel disegno, dal centro verso destra, sono raffigurati alcuni monti sovrastati da corpose nubi.

Torniamo ora brevemente alle due torri campanarie. Una sembra essere quella ancora esistente (risalente alla fine del sec. XVII, voluta dal Cardinale Vincenzo Maria Orsini, che fu poi Papa con il nome di “Benedetto XIII”) e l’altra (più prossima alla cinta muraria prospiciente il mare), non più esistente, pare sia quella originariamente annessa all’antica chiesa denominata “San Domenico” (costruita, tra il 1294 ed il 1299, da Carlo II d’Angiò). Complesso architettonico, che ricorda molto da vicino, quello presente in un affresco, ormai scomparso, della “Cappella della Maddalena” (abside, risalente al sec. XIII, scoperta casualmente nel 1895), adiacente all’appena menzionata chiesa e, dunque, all’allora convento domenicano (oggi sede del “Palazzo di Città” di Manfredonia). L’affresco a cui mi riferisco è quello che rappresentava San Domenico (alcuni studiosi ritengono invece che si tratti di San Leonardo. La cosa era ed è ancora controversa) nell’atto di sorreggere allegoricamente, nel palmo della mano destra, una chiesa ed una torre campanaria molto simili a quelle raffigurate, seppure sommariamente, da quel singolare paesaggista originario del Belgio.

A tal proposito, ho provveduto ad ingrandire e ribaltare (con l’ausilio di un apposito software di editing fotografico), nel verso opposto, quella piccola parte del disegno di Vervloet e, in un secondo momento, l’ho raffrontata con quella riguardante il più volte citato affresco della “Cappella della Maddalena”.

Ebbene, la somiglianza, tra quelle parti prese in esame, è sorprendente. Si tratta forse di un’ipotesi ardita, ma non insostenibile.

Ad ogni modo, la cosa più importante è aver descritto e segnalato alla comunità degli studiosi (e non solo) l’interessante opera di Varvloet, rimasta nell’ombra per circa due secoli (185 anni, per la precisione).

Frans Vervloet (1938). Disegno raffigurante Manfredonia dal mare. Fonte: sito web del “Catalogo generale die Beni Culturali”
Affresco raffigurante San Domenico (Cappella della Maddalena di Manfredonia). Fonte: sito web “garganoverde.it”

Francesco Granatiero