Un dipinto da scoprire: “La Natività” dei Licinio nella chiesa S. Francesco di Manfredonia.
Entrando nella chiesa di S. Francesco della città di Manfredonia, oltre allo stupendo e miracoloso crocifisso ligneo, potreste imbattervi in un dipinto del secolo XVI, la cui importanza non è ancora ben compresa. L’opera ha anche destato la curiosità del professor Vittorio Sgarbi, famoso critico e storico dell’arte, in occasione della sua visita nell’agosto del 2016 alla città.
La tela è conosciuta con il nome de “La Natività” o “L’Adorazione dei Magi”. Ne fanno menzione alcuni storici locali, come Pascale, Bellucci e Ferrara. “
Nel 2009 il dipinto ha attirato l’attenzione della dottoressa Rosa Lorusso Romito, della Soprintendenza per i Beni storici artistici ed etnoantropologici della Puglia, la quale così lo descrive in un suo articolo: “In primo piano, ai piedi di una casa-torre semidiruta, è collocata la Sacra Famiglia; ai suoi lati compaiono due gruppi di personaggi, a sinistra i pastori, a destra i Magi e i loro paggi; nel luminoso paesaggio di sfondo si intravedono, da una parte, un gregge di pecore ed un pastore appena destatosi dal sonno, nell’atto di scrutare il cielo; dall’altra, un fiabesco corteo con tanto di cammelli e cavalli. Sono qui riunificati più episodi relativi alla nascita di Gesù: l’annuncio ai pastori e la loro visita alla divina Famiglia narrati, nei vangeli sinottici, solo da Luca, l’arrivo dei Magi da Oriente, descritto solo da Matteo. È la raffigurazione di una gioiosa, sontuosa «epifania», cioè la manifestazione-rivelazione del Redentore all’intera umanità rappresentata dalla moltitudine variegata di astanti, caratterizzati ciascuno da singolari ed intensi ritratti. Ma nel dipinto, a ben guardare, è suggerito un richiamo alla passione di Gesù, monito non inusuale nelle raffigurazioni della Natività: il piccolo gruppo in secondo piano, estraneo al vicino corteo, composto di quattro personaggi di cui uno con mantello scarlatto, un altro con copricapo frigio, parrebbe raffigurare l’episodio di Gesù condotto davanti ad Erode, rappresentante, con Pilato, dei re e dei principi che, come recita il Salmista, non lo riconobbero come il Re messianico”.
In basso a destra è l’iscrizione «BERNARDINUS IULIUSQUE LYCINII PATRUUS ET NEPOS FACIEBANT» a rivelare il nome degli autori dell’opera, ovvero Bernardino e Giulio Licinio, rispettivamente zio e nipote.
I pittori erano entrambi originari di Venezia. Bernardino,nato nel 1485, morì, secondo la storiografia attuale, intorno al 1550. Il tutto si basa su un documento che ne certifica la presenza in un atto testamentario del 30 ottobre 1549. Giulio Licinio, invece, nato nel 1527, morì dopo il 1593.Bernardino, che stilisticamente si rifà ad artisti di più grande fama, quali Bellini, Giorgione e Tiziano, può essere considerato uno dei primi specialisti nella pittura italiana del ritratto di gruppo.Giulio, invece, divenne erede della bottega dello zio dopo la sua morte erealizzò anche alcune opere per l’Imperatore Ferdinando I d’Asburgo.
Con le date a disposizione si potrebbe collocare il dipinto sipontino nel periodo compreso tra il 1540 e il 1550.
La tela della chiesa di San Francesco in Manfredonia presenta delle similitudini con altri dipinti di Berardino Licinio. In due pitture, entrambe denominate “Adorazione dei pastori”, una facente parte della “Collezione A. Ruck” di Londra e l’altra conservata nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, alcune figure hanno fortissime analogie per l’abbigliamento e la gestualità.
Secondo quanto affermato dal Ferrara (Manfredonia, 8 Chiese e l’Episcopio…), sulla scorta del Bellucci, il dipinto fu donato alla chiesa di san Francesco dalla signora Elena Solino (sec. XIX), moglie di Marco Fresini, controllore dei dazi di Manfredonia, nonché fratello del Generale Michele Fresini. Qualche decennio dopo (novembre 1913), ci fu un tentativo di vendita della tela, allora ridotta in pessimo stato, da parte della Confraternita del Santissimo Sacramento, ma fortunatamente venne scongiurata dalla Prefettura di Foggia (A. Di Lauro, Memorie…).
È bene ricordare che “La Natività” è stata più volte sottoposta a restauri da parte della Soprintendenza.
A questo punto è opportuno cercare di individuare il periodo al quale risale la presenza dell’opera nella città di Manfredonia, poiché la tela arriva nella chiesa francescana già prima del XIX secolo. Ad essa accenna lo Spinelli (Memorie Storiche…), raccontando dei fatti accaduti al tempo del sacco ottomano, quando riferisce che nella chiesa di S. Francesco “vi è stato, siccome evvi ancora un’eccellente pittura sopra a legno rappresentante il santo Presepio, la quale nell’Eccidio di Manfredonia l’anno 1620, da’ Turchi fu rotta in più parti a forza di sassate, e ferri taglienti, siccome oggi osservasi già riparata con altro legno, e con differente pennello alla miglior maniera, che si è potuto, quantunque le sassate, e le sferzate de’ ferri non han potuto ripararsi, scorgendosi specialmente un colpo di pietra in fronte all’Immagine della Vergine Santissima”.
È pure opportuno rivelareun documento notarile del marzo 1664, nel quale gli attori sono da una parte i reverendi frati del convento di S. Francesco dei minori conventuali, ovvero: padre frate Antonio Riccio, frate Giovanni Battista di Vico, frate Carlo di Castiglione, frate Giuseppe di Manfredonia e frate Lorenzo Rumbo; e dall’altra parte Cesare de Angelis, figlio e procuratore del dottore Tommaso. In esso i frati affermavanoche, alcuni anni prima, avevano fatto costruire una nuova entrata alla chiesa affinché l’altare maggiore “non fusse esposto a vista di coloro che passavano per la strada publica” (trattasi, probabilmente, di via S. Francesco); per tale motivo era stata smantellata e distrutta una cappella presente nella chiesa e denominata “della Pietà”, di proprietà del dott. Tommaso de Angelis e fondata dai suoi antenati. Tale cappella, successivamente, non era stata riedificata, e le messe che prima erano celebrate in essa, venivano officiate in altri altari.
Il de Angelis, risentito, aveva chiesto un’altra cappella al posto di quella distrutta. Per questo aveva interessato Francesco Lombardo, Padre Provinciale dei Conventuali, il quale aveva concesso facoltà ai frati di S. Francesco di sostituire la cappella oppure di assegnarne una nuova. Pertanto, con l’autorizzazione del padre superiore, i religiosi destinavano al richiedente, nella persona di Cesare, procuratore del padre Tommaso, la cappella esistente nella detta chiesa denominata di “S. Giuseppe del Presepe”, con il quadro, le pitture, e ogni altro ornamento che in essa si ritrovava, nonché la sepoltura presente dentro detta cappella, avanti l’altare. A beneficio del convento andarono due capitali di 34 ducati ciascuno, che sarebbero dovuti servire per dote e ornamento della cappella stessa.
A ricordo di tale evento, ancora oggi è possibile leggere un’epigrafe, del 1664, con lo stemma del casato de Angelis, i cui due esponenti succitati sono stati figure di rilievo nella vita pubblica della città: Tommaso Radolfo de Angelis, nato il 7 marzo 1609 da Cesare e Flavia Cesarano (Parrocchia S. Lorenzo Maiorano, Libro dei battezzati), è stato sindaco per due volte (1643-1644 e 1652-1653) ed eletto(assessore) per cinque legislature dagli anni 1637-38 al 1662-63 (la durata degli incarichi era di un anno, iniziava a settembre e terminava ad agosto dell’anno successivo).
Invece, Cesare Domenico Antonio, figlio del dottor Tommaso e di Chiara Gallucci, è nato il 3 novembre 1641 (Libro dei battezzati). Lo si ritrova elettonegli anni 1667-68 e 1694-95, consigliere nel 1672-73, 1680-81 e 1692-93 e infine sindaco nel 1677-78 (P. Ognissanti, L’Università sipontina del ’600). La notizia più importante resta l’attestazione, nel documento notarile, dell’esistenza della cappella del “Presepe” o di “S. Giuseppe del Presepe”, corredata di altare, sepoltura e quadro, quello che è verosimilmente “La Natività” in questione. Alla luce di quanto finora riferito si può dire che il dipinto è presente a Manfredonia prima ancora del 1620, per cui è da credere che la committenza sia partita direttamente dalla nostra città.
Giacomo Telera
Benche dopo la sconfitta di Licinio il cristianesimo di Costantino trovi sempre piu conferme pubbliche, occorre non dimenticare che: «Mentre egli e sua madre abbelliscono la Palestina e le grandi citta dell’impero di sfarzosissime chiese, nella nuova Costantinopoli egli fa costruire anche dei templi pagani. Due di questi, quello della Madre degli dei e quello dei Dioscuri, possono essere stati semplici edifici decorativi destinati a contenere le statue collocatevi come opere d’arte, ma il tempio e la statua di Tyche, personificazione divinizzata della citta, dovevano essere oggetto di un vero e proprio culto».